Il torinese

Attraversa la strada e si incammina verso il posteggio, senza aspettare che si chiuda il portone.
Apre la micro borsetta nera, quella con la tracolla dorata, quella delle occasioni importanti. Il giubbotto di pelle si solleva quel tanto che basta per mettere in mostra il suo sederino. Fossi più vicino, vedrei l’elastico del tanga sotto i pantaloni di lino. Solleva gli occhiali da sole sulla fronte e trova il telefono. Lo avvicina alla bocca e parla per pochi secondi. Lo ripone in borsa e prende le chiavi.
Le luci della cinquecento bianca lampeggiano.
Dal mio sedile del passeggero arriva il bip di una notifica. Che questa volta mi abbia scoperto? Mi preparo alla doccia fredda.
Un vocale. «Amore, come va? Ascolta… quando esci dall’ufficio, puoi passare tu a prendere Michele a minibasket? Sto andando a fare compere e me la vorrei prendere con un po’ di calma. Baci baci, a dopo.»
Sono ancora in sella, a quanto pare. Stringo il display tra le mani e le scrivo. “D’accordo, vado io. Sta per arrivare un cliente. Ci vediamo a casa.”
Non capirà mai dove sono. Sono stato un genio a condividere l’agenda con lei: posso inventare impegni anche all’ultimo momento e non li metterà mai in dubbio. Mi fa quasi tenerezza, ma mi basta pensare a chi ho davanti per dimenticarmene.
Fa retromarcia. Potrei uscire subito dal parcheggio, ma attendo il passaggio di altre auto prima di seguirla. Mi ritrovo dietro a una Peugeot 206 nera. Sono abbastanza distante perché non mi scopra col retrovisore, appena al limite perché rimanga sotto controllo.
Fuori dal sottopassaggio, svolta nel controviale di Corso San Maurizio. Al semaforo di via Rossini mette la freccia per svoltare a sinistra. La Peugeot prosegue dritto: una di meno, ma tra di noi resta un furgone da imbianchino, più che sufficiente per restare nell’ombra.
Al verde, la cinquecento sfila verso il ponte sulla Dora.
Dove stai andando, furbetta?
Per fortuna che la mia cara mogliettina doveva andare a spasso per le vie dello shopping…
Alzo il piede dalla frizione, ma mi tocca frenare di colpo e imballo il motore. L’autista del camioncino si sarà addormentato col cellulare in mano. Ho già la mano sul clacson quando il baraccone si rimette in moto. Oltrepasso la linea dello stop con il giallo già in funzione. Per poco non mi scappava.
Resto a distanza di sicurezza per un chilometro buono. Passiamo davanti alla palestra di Michele. L’orologio del cruscotto mi regala ancora un’ora abbondante.
Svolta in Corso Regio Parco. Rallenta in cerca di un parcheggio. Sterza di colpo a sinistra. Un culo del genere, a me, non capita mai. Mi affretto a oltrepassare la sua auto, sperando che dedichi qualche istante ad armeggiare con il telefono.
Giro nella prima traversa. Fermo l’auto davanti a un passo carrabile. Dallo specchietto, la sbircio passeggiare lungo il corso. Metto le quattro frecce, prendo la giacca dal sedile posteriore e continuo a piedi. Non mi arresteranno per qualche minuto di sosta vietata. Scommetto che, se fossero nei miei panni, gli ausiliari della GTT farebbero lo stesso.
Mi affaccio dallo spigolo del palazzo d’angolo. Un cestino dell’immondizia col posacenere colmo di mozziconi mi mette voglia di fumare. Ne accendo una, così da darle qualche metro di vantaggio. Tolgo la suoneria, per sicurezza. Mi incammino cercando di mantenere la sua stessa andatura. È un peccato non poterle stare appiccicato, ma da questa distanza mi posso almeno godere lo spettacolo.
Il bianco le dona davvero. Quand’è stata l’ultima volta che l’ho vista così provocante? Forse quella sera, alla cena di classe di Michele. Aveva gli occhi di tutti gli altri papà addosso. Ingenui, non sanno che sei solo mia e nessuno si può mettere tra di noi.
Entra in un caffè con il dehors sul marciapiede.
Fingo d’essere interessato alla vetrina di un’edicola. Mi accendo un’altra sigaretta.
Chi devi incontrare lì dentro, cucciolotta?
Un fighetto dell’università che ha esagerato col dopobarba mi passa di fianco. Spinge la porta del medesimo bar.
Adesso ti piacciono i ragazzini, porcellina?
Controllo il telefono. Un messaggio, questa volta.
“Ciao tesoro, dopo aver recuperato Michele, ci sarebbe da andare alla CRAI a prendere qualcosa per la cena. Pensavo di andare io, ma vado con le ragazze a prendere un aperitivo. Non ti arrabbiare, è andata così! Baci baci.”
Meglio darle corda. “D’accordo. Divertiti. Io ne ho ancora per una mezz’ora.”
Ci aggiungo anche la gif di un gattino che lancia baci a forma di cuoricino.
Sghignazzo all’idea che lei pensi che io sia da tutt’altra parte.
Alzo lo sguardo e la vedo proprio davanti a me, splendida. Nascondo il telefono in tasca.
«C-Ciao» balbetto.
Sorride. «Ma tu sei il papà di Michele? Certo che questa città è proprio piccola, non è vero?»