L’attesa è la parte migliore

Era sveglia. Ecco! «Oddio!» l’aveva fatto. «L’ho fatto, Enrico! Il sogno premonitore!» Ma dov’era Enrico? Che ora era?
Maria spinse le gambe giù dal letto e infilò le pantofole. Le caviglie formicolarono, spinse i pugni contro il materasso e si mise in piedi. Tirò il collo della camicia da notte per sfilarlo dal seno. Fuori dalla finestra il cielo era grigio chiaro.
Le fronde del bosco attorno alla fattoria si lamentavano al vento del temporale in arrivo. Normale, visto quello che doveva succedere.
Aprì l’armadio e tirò fuori il tailleur della domenica. Più domenica di così…
«Enrico?» Vergine Beata, che stava facendo? Per lui ogni giorno era uguale all’altro. Doveva farlo preparare.
Uscì nel portico. «Enrico! Dove sei?»
«Eh, dove sono?» La testa calva uscì dalla stalla, il riporto svolazzante. «Ho munto la vacca.»
Maria gli corse incontro. «Ho fatto il sogno premonitore!» Gli levò il secchio dalle mani e lo posò sulla pila di legna. «È oggi! Sta arrivando!»
«Ah sì?»
Caprone, non capiva niente. «Dai, spicciati! Vatti a fare una doccia che puzzi come la merda della tua Carlotta.»
«Eh, chissà perché.»
«Forza! E preparati per bene. Io penso alla spianata.»
Enrico borbottò verso la porta di casa, Maria cercò la piccola radura con lo sguardo. Il cerchio di pietre si distingueva dal verde del prato e nel centro svettava il crocifisso coi fiori sopra l’altare.
Maria prese il cesto da sotto la tettoia e raggiunse lo spiazzo in terra battuta. Cominciò a gettare i petali. Gocce di rosso acceso nell’aria umida.
Si guardò indietro. Forse aveva fatto mettere l’altare troppo vicino alla casa? Non c’era altro che prato e bosco per chilometri, poteva farlo fare in un posto più piacevole. Ma Enrico era così pigro.
A che punto era? «Enrico? Ti stai sbrigando?»
Dal piano di sopra venne la voce catarrosa. «Maria, hai visto la penna dell’insulina?»
Ora cominciavano le lamentele. «Non ti serve che devi digiunare!»
«Non funziona così, lo sai.»
Il cielo si stava scurendo, forse avrebbe piovuto. Cosa poteva essere se non un segno? Il cuore le si gonfiò di gioia, l’estasi era vicina. «Lavami, Oh Signore, e sarò tutta monda.»
«Come dici?» Enrico si tirava su le bretelle venendo verso il cerchio.
«Già qui?»
«Ma se hai detto di fare di corsa.»
«Beh, ma i denti li hai lavati?»
«Sì.»
«Hai detto il Pater Ave Gloria?»
Annuì.
«E tre atti di dolore?»
«Maria, l’insulina.»
«Non hai mangiato, vero? E hai fatto il segno di croce con l’acqua benedetta?»
Enrico esitò. Le rughe attorno alla bocca si piegarono, si sistemò il colletto della camicia. «L’acqua benedetta?»
«Dai, su! Non c’è tempo, non vedi com’è già il cielo? Sbrigati. L’insulina dopo.»
Enrico tornò verso casa.
«E non sbuffare!» Stava arrivando Gesù Cristo in carne, ossa e Spirito e quella bestia sbuffava.
Un guizzo di corna tra gli alberi. Un cervo maschio uscì dal bosco, fiero, col manto bruno rossiccio come in un’immagine biblica.
Maria giunse le mani, si buttò in ginocchio. «Signore, eccomi! Come Samuele per tre volte grido eccomi!»
«Maria! Va’ che bestia!»
«Lo so, caro.» Le lacrime scesero ai bordi del naso. Un risolino le uscì spontaneo dal petto. Prima il sogno, poi il cielo, ora anche gli animali. Tutto il Creato partecipava all’arrivo di Cristo. Normale, ma così commovente.
Una deflagrazione, il cervo si abbatté a terra con un bramito.
«Preso, diobono!»
Il fiato si fece denso come ricotta. «Dis.. Disgraziato!» Era stato Enrico, lei non c’entrava. «Che hai fatto!» E ora?
«Che ho fatto? Ho preso un cervo!» Lanciò un urlo festoso.
Era una prova, ecco cos’era. Doveva rimanere impassibile, non farsi coinvolgere.
Un raggio di sole toccò la spianata. Ecco, sì, un segno. Perché Dio non abbandonava chi credeva in lui.
«Maria! Dammi una mano, dai.» Enrico prese il cervo per le corna e tirò su la testa. «Prendi la carriola che da solo non ce la faccio con la schiena.» Sforzò per spostare la carcassa. «Guarda che bel—» Scivolò a terra con una bestemmia.
«Enrico!» Maria si tirò in piedi. «Porco mondo! La vuoi piantare?»
Un tuono seguì l’imprecazione. Aveva esagerato anche lei. Sospirò, tirò i lembi della giacchetta e controllò le ginocchia: pulite. «Enrico, basta. Sta arrivando Gesù. Non ho tempo per le tue bestialità. Non farmi scegliere tra il mio Dio e il mio uomo, perché tu sei solo un uomo.»
«E Cristo cos’era?» Si issò aggrappato alle corna del cervo. «Era un uomo lui pure, no? E tu che dici sempre ‘Gesù è in ogni uomo’ e tutte quelle balle lì.»
«Parla bene!»
«Una volta tanto non può essere pure dentro di me, sto benedetto figlio di… Dio?»
Maria strinse le labbra. Che fatica con quel burino. Stava lì, mezzo piegato con una mano sulla schiena e il fiatone. Tutto il fianco coperto del sangue di cervo. Che pena.
«Ah, Santa Vergine. Sta’ fermo che ti piglio la carriola. Certo che però…»
«Ma sì, tesoro. Vedrai che viene domani.»
«Eh… Un giorno la schiena, uno ti devo portare in paese. Oggi sto cervo benedetto.»
La voce di Enrico arrivò dal prato. «E pensa se l’avessi già incontrato, sto Cristo. Ah, Maria, l’insulina!»