Lo smemorato

«Alla tua salute, smemorato!»
Il figlio del sindaco e i suoi due amici alzano i calici colmi di rosso toccando il cielo limpido sopra il paese, li portano alle labbra e li svuotano all’unisono, grugnendo per le risate.
Il riflesso del sole pomeridiano scintilla sul vetro dei bicchieri.
«Grazie.» bofonchio.
«Ho scommesso una cassa di Sangiovese che il cervello ti ripiglia prima del ’52» il giovane si asciuga le lacrime col fazzoletto che porta al collo «Non manca poi molto, dacci dentro, vè!»
Sorrido e sposto il prosciutto dalla spalla destra alla sinistra. Mi fermerei volentieri ma questo bel coscione pesa parecchio.
Alzo la mano senza anulare verso di loro.
«Solo che dopo…» Il figlio del sindaco fischia e mi fa il gesto delle corna.
I tre si accasciano sul tavolo, sbellicandosi.
E poi dicono che quello tocco sono io; per essere cornuto ci vuole la moglie, io non ce l’ho mica.
Attraverso la piazza e imbocco la via tutta in discesa imbevuta d’ombra.
Rita e Ines, sedute sulle scale di casa, mi salutano. Le sento parlare fitto fitto appena do loro le spalle. Devo avere chissà che macchie dietro al fondoschiena per farle confabulare così tanto.
Varcato il cancelletto di casa, scorgo due sagome rannicchiate sotto il ciliegio.
Alice piange in silenzio seduta tra le foglie, Nero le appoggia la testa tra le pieghe della gonna grigia e agita la coda a spazzola.
«Alicina, che hai fatto?»
«Marisa mi ha preso in giro un’altra volta, stamattina! Continua a dire che ho due papà e che mamma andrà all’inferno per questo!»
«E tu le hai strappato i capelli!» La voce di Renato mi sorprende alle spalle. Allunga verso di me le braccia coperte dal camice bianco, lo stetoscopio dondolante al collo.
Gli cedo la carne, il suo profumo pungente mi carezza il naso.
«Alfredo, questo sì che è un bel prosciuttone! Ti stai dando parecchio da fare se questa è la ricompensa!»
Mi siedo vicino ad Alice, una radice scrocchia sotto il sedere.
«Dice che gli servo sempre di più. Vuole ingrandire il negozio visto che mò i soldi ci sono.»
Renato mi squadra da capo a piedi e annuisce. «Bene bene. La cena è quasi pronta, ricorda di prendere le medicine prima di pranzo…e tu signorinella» punta il dito verso la figlia «scordati la tua fetta di crostata, così impari a tenere la mani a posto, la prossima volta!»
Renato si gira, mi dà un colpetto alla spalla con la mano libera e imbrocca la discesa per la cantina.
Alice sporge il labbro inferiore ancora di più.
«Dai, non piangere. Vivo con voi ma tu hai solo un papà ed è Renato. Lo sai perché non mi piace quando piangi?»
La bambina mi fissa dal basso in alto e mi punta addosso due iridi verdi.
«Perché i miei occhi sono identici a quelli di tua sorella! Me lo avrai detto 100 volte.»
Ah, gliel’ho già raccontato.
Alice si guarda intorno, capisce che ha esagerato nel rispondermi così seccata.
Addolcisce lo sguardo. «Pensi che la rivedrai un giorno?»
«Beh, chissà. Non la vedo da prima della guerra. Se guarirò, andrò a cercarla.»
«Ma non ricordi proprio nulla?»
«Pochino. Ricordo di aver sparato tante volte, di essermi nascosto, ricordo le montagne, i rifugi. Ma prima di quello, solo gli occhi di mia sorella.»
«Ma perché ci sei andato in guerra? Se non ci andavi ora staresti bene!»
«Questo me lo ricordo, sai?» le carezzo la testa riccioluta e bionda, bionda come me «ci sono andato così non dovevate andarci voi bambini.»
«È pronto a tavola.»
Alziamo la testa tutti e tre.
Flavia si pulisce le mani sul grembiule, i riccioli neri tenuti a stento dal fazzoletto a pallini.
Nero parte a razzo verso la porta, Alice si alza e lo segue con molto meno entusiasmo. Flavia la segue con lo sguardo torvo fino all’uscio. Si gira verso di me.
Mi tende la mano sinistra, le due fedi che tiene all’anulare brillano al sole; Renato dev’essere molto innamorato se le ha dato due anelli.
L’afferro e mi faccio aiutare. Sono in piedi ma Flavia non mi lascia la mano.
«Ho dato il prosciutto a tuo marito. Vedrai che ci facciamo più di un mese.»
Sorride.
Che bella che è Flavia.