Tramonto

Il quartiere di Adis Abeba dove incontro Negasi è un frontale tra una favela di Rio e la City di Londra.
Il bancone della bettola è pieno di mosche schiacciate. Da un involto di iuta Negasi tira fuori un’opale nero. Grande, come la coppa di un calice per Moet & Chandon bevuto in business class, protegge al meglio l’aura energetica.
Il secondo pezzo è un cristallo di Giada verde come pelle di Boa Constrictor. Grosso come un tartufo Bianco che De Beers regala se comprate abbastanza carati. In un rituale Wiccan vi legherà alla dea madre come niente altro. Potreste scolpirci una madonnina di Fatima, o una piramide per comunicare con i pleiadiani.
Qualsiasi cosa, basta che non capiate mai che sono atomi come altri, solo particolarmente ordinati.
Mille dollari a Negasi. Paga lui quelli che portano i cristalli su per il culo. Sempre che li lasci in vita.
Tolta la parte per la mazzetta all’aeroporto, vendo a Parigi e me ne vado al Ritz.
Infilo tutto sotto la giacca, esco nel vicolo. Davanti a me un negro che di notte non distinguerei da un gorilla.
Alle mie spalle Negasi urla “lui!”
Uno sparo.
Vertigini da ascensore veloce. Mi affloscio.
Negasi mi sfila le gemme, sparisce.
Perdo un fiume di sangue, si spande nella polvere, rosso e malinconico come l’ultimo tramonto di Adis Abeba.