Coprifuoco

La tecnologia può disumanizzare anche l’orrore uccidendo i miti. Un racconto di Beppe Roncari.

 
Le tenebre sono appena calate. Non c’è un minuto da perdere.
Scosto la pesante tenda di velluto nero. Il cielo della città sembra morto, un pallido riflesso in terra di quello che era un tempo il firmamento, glorioso di luci. Mille lampioni che accecano. Ma in cielo ci sono altre luci al posto delle stelle. Luci mortali.
Da quando hanno istituito il Coprifuoco, quanti ne avranno fatti fuori di noi? Ci stanno prendendo uno dopo l’altro, e senza alcun onore…
Purtroppo, mi posso muovere solo di notte, e devo pur mangiare… Sono più di 88 ore che digiuno. Troppo. Devo essere forte, soprattutto se mi troverò a doverli affrontare.
Scendo a passi felpati sulle scale. So essere silenzioso come un’ombra quando voglio. Apro di uno spiffero il portone d’ingresso, stando ben attento a non fare il minimo rumore. Nessuno per strada. Ma questo non vuol dir niente. È dal cielo che viene la minaccia.
Mi calo il cappuccio della felpa sul capo e mi azzardo a uscire. Potrei passare per un drogato o un ubriaco, uno non informato o che se ne infischia del Coprifuoco… è la mia unica speranza.
Diavolo! È dura cercare da mangiare così… Le strade sono vuote, tutte le saracinesche abbassate, le finestre sbarrate. Eppure c’è fin troppa luce. Quando alzo gli occhi al cielo, questi lampioni maledetti mi accecano. Impossibile sperare di vederli arrivare… magari sono già sopra di me, mi spiano, guardano ogni mio movimento, in attesa di qualcosa che mi tradisca.
L’importante è non cedere alla tentazione. Non fare movimenti bruschi. Niente scatti. Niente che possa attirare la loro attenzione. E soprattutto mai, mai, mai cercare di fuggire.
Due riflessi a livello della mia spalla. Mi immobilizzo. Un gatto. Non posso credere alla mia fortuna. Non è scappato, è vicinissimo… Potrei allungare la mano e accarezzarlo… Ci devo provare… «Micio, micio, micio…» Mormoro sottovoce, muovendo contemporaneamente la mano lungo il fianco, per portarla all’altezza della spalla.
Gli occhi del gatto si accendono come due fanali: «Identificarsi!»
Maledizione! Un nuovo modello!
Tengo la testa bassa, per coprire gli occhi col cappuccio.
«Identificarsi!»
«Micio cattivo, spegni ’sta cazzo di luce!»
Fingermi un ubriaco, sì, è l’unica speranza. Mi metto a ondeggiare un po’.
«Identificarsi! Prego rimuovere ostacoli all’identificazione e mostrare le retine. Identificarsi!»
Scatto come una molla e gli sono con le zanne sul collo, glielo stacco di netto. Niente fluido vitale, solo sterili ingranaggi.
Sono fregato. Stanno arrivando. Li sento.
Mi trasformo e mi lancio in alto, sulle ali della notte, per un ultimo volo, salgo su, sempre più su… la città è solo un’eco per i miei ultrasuoni…
Quando so di essere al di fuori della cappa d’inquinamento, lascio cadere il mio travestimento e torno in forma umana.
E comincio a cadere anch’io, nel cielo, come una cometa.
Se devo morire, voglio farlo guardando le stelle.
Mi sono addosso in un attimo, coi loro paletti a pressione.
Maledetti droni.
Non si può più neanche volare in pace.

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