Il pollaio

Mario si accese una sigaretta e guardò il soffitto con aria imbufalita.
«Fottuti stranieri.»
«Papà, lo sai che non voglio che fumi in casa» disse sua figlia Carolina.
Mario spense la sigaretta e guardò di nuovo in alto. Una serie di versi continui, simili al chiocciare di galline, era chiaramente udibile dal piano superiore, dove una nuova famiglia si era trasferita da poco.
«Ma non lo senti questo casino? Mi sta facendo impazzire. Che accidenti tengono in casa? Polli? Anatre? Pinguini?»
«Non che io sappia.»
«Ah, perché tu li hai visti questi fantomatici vicini, qualche volta? Sono, cinesi? Scommetto africani. Del Marocco, o giù di lì.»
«Io… veramente non lo so. Il signor Aalechiejni…»
«Come?»
«Aalechiejni. Non mi pare un africano. Sai che lui e la moglie hanno avuto un figlio da poco? Mi ha detto che stanno cercando una babysitter, e mi sono offerta volontaria.»
«Con un nome del genere deve essere dell’est Europa, sicuro. Almeno non è un negro.»
«Papà!»
«Che c’è?» rispose Mario, riaccendendosi la sigaretta. Carolina andò in camera sua.
 
Tre giorni dopo, Mario stava rientrando dal lavoro quando incrociò sua figlia mentre usciva dall’ascensore della palazzina. Aveva con sé una carrozzina.
«Ehi, quella che è?»
«Sto portando il bambino a fare una passeggiata.»
«È il figlio di quel…»
«Aalechiejni.»
«Fammelo vedere. Almeno vedo che faccia ha il pargolo.»
Carolina tolse il velo che copriva la carrozzina. Mario rimase interdetto, poi il suo viso si contrasse in una smorfia. Nella carrozzina c’era un uovo grosso come un pallone da rugby, ben avvolto in coperte di lana. Era liscio e color ocra.
«Ma… ma che cazzo?»
«Papà, non dire parolacce davanti al bambino.»
«Carolina, ma sei scema? Ti stai facendo pigliare per il culo?»
«Ma papà, che dic…»
Mario non attese l’ascensore e imboccò le scale. Salì fino al sesto piano arrivando a destinazione con il fiatone. Suonò il campanello, poi diede dei rapidi colpi alla porta. Dopo qualche istante gli aprì un uomo dall’aria distinta, con indosso un vecchio completo e occhiali da vista. Aveva capelli di un colore indefinibile, a metà strada tra il biondo e il giallo acceso.
«È lei il signor… quello che ha assunto mia figlia come babysistter?»
«Sua figlia Carolina, sì? Sono io» rispose l’uomo in un italiano stentato.
«Come si permette di prenderla in giro in quel modo? Ha solo quattordici anni, per la miseria. Al suo paese si fanno queste cose ai figli degli altri?»
«No capisco, signore.»
«Hai capito benissimo, coglione. Sto parlando di quell’uo…»
Le porte dell’ascensore si spalancarono, Carolina ne uscì portandosi dietro il passeggino. Aveva un espressione eccitata stampata in volto.
«Signor Aalechiejni! Credo che ci siamo!»
L’uomo scostò Mario e si avvicinò al passeggino. Entrambi osservarono l’uovo coprirsi di crepe e venire rotto dall’interno. Nel guscio si aprì uno spiraglio e ne uscì una piccola manina da neonato. Poi, una testolina coperta da capelli dello stesso colore di quelli del padre. Il neonato si mise a chiocciare.
«È un maschietto!» disse eccitata Carolina. Il padre del bambino aveva le lacrime agli occhi dalla gioia.
Mario non disse una parola. Scese le scale, rientrò in casa, si sedette al tavolo e si accese una sigaretta. Non fece nemmeno un tiro, lasciando che si consumasse, finché la sensazione bruciante della cenere non gli scottò le dita.
«Fottuti stranieri.»