L’essenza del guerriero

Acqua, terra, fuoco, aria. Una semplice risposta, una vita intera. Settimo classificato nella Settima Edizione della Quinta Era con Alessandro Vietti come guest star, un racconto di Zebratigrata.

 
«Quale elemento vuoi fare tuo?»
Taru si incupì. Non c’erano dubbi su quale fosse la risposta giusta. Già vedeva sé stesso uscire dal tempio al termine dei dieci anni di addestramento: fiero, mento in alto, passo deciso, il guerriero migliore che il Bantam avesse mai visto. Eppure… Sentiva dentro di sé che tutto era stato troppo facile. Se questa era la prova di ammissione al tempio allora perché i guerrieri di Bantam che ne uscivano erano così pochi, e così famosi?
 
Taru aveva chiesto un giorno di tempo per riflettere. Dapprima passeggiò lungo il fiume con Nilao, poi arrostirono un pesce sopra a un fuocherello messo insieme con rametti e canne secche. Taru sedette sul terreno in un punto in cui era battuto e privo di erba. Lo sentiva freddo e leggermente umido attraverso la tela della tunica. Inspirò, espirò, trattenne il fiato. Sbuffò. «Non ha senso. Gli elementi servono tutti, come posso scegliere? Forse devo scegliere solo quello che farà di me un guerriero. Non l’aria. Quello è l’elemento dei monaci, dei santi, di coloro il cui daffare è altrove, non nel mondo terreno.»
«Io scelsi il fuoco» disse Nilao, dando un calcio a un sassetto coperto di terra polverosa. Taru lo guardò. Nilao aveva assunto un’espressione serena, quella che hanno i vecchi che si contentano di passare la giornata sulla riva del fiume a guardare gli altri pescare, senza desiderare altro. «Quindi è quella la risposta giusta? Tu sei entrato! Ma perché ti hanno cacciato, poi?»
«Non mi hanno cacciato» rispose Nilao «Sono andato via io. Non desideravo più essere un guerriero.»
 
Taru guardò il vecchio negli occhi chiari e un po’ torbidi e gridò, risoluto: «Terra! Perché il fuoco brucia ma si spegne in fretta e mai è eterno.»
Il vecchio lo fissò, gli occhi rivolti in basso, le guance cascanti e le labbra sottili che formavano una tremolante linea orizzontale. Sospirò. «Vieni» disse, «Anch’io scelsi la terra» e gli mise una mano sulla spalla mentre lo accompagnava all’interno. Taru a quel tocco comprese all’improvviso le conseguenze della sua risposta. Non fu doloroso. Di colpo non gli importava più di compiere grandi imprese. Si rassegnò senza rimpianti a restare al tempio per tutta la vita, a divenire parte delle salde fondamenta della scuola, come uno di quei mattoni di fango secco che reggevano l’edificio, senza cedere mai, senza muoversi mai, senza mai provare l’ebbrezza della vita.
 
«Quale elemento vuoi fare tuo?» chiese Taru alla ragazzina, asciugandosi il sudore dalla fronte piena di rughe con una pezza. Sapeva già che la risposta sarebbe stata quella giusta. Abituate com’erano alle doti che venivano loro insegnate, la pazienza e la cedevolezza, sceglievano naturalmente ciò che loro assomigliava di più, ignorandone le potenzialità. La capacità di nutrire la vita, di apparire inoffensiva, di accogliere ma al contempo accerchiare, di penetrare in ogni fessura, di distruggere non vista il ferro e la roccia, di travolgere, di annientare.
«Acqua!»