L’inglese

Una nuvola di polvere m’investe il viso. Getto da parte il frammento di muro e mi metto a tossire. Fulin si avvicina e mi lancia uno sguardo preoccupato. «Tutto bene, monsignore?»
Ma che domande: non sono neanche in paese da un due settimane che un terremoto butta giù cinque case. I soccorsi nazionali tardano ad arrivare e la gente si perde d’animo. Anche io mi sento come se Dio non ascoltasse le mie preghiere. «Non preoccuparti e scava.»
Fulin alza le spalle. «Inutile, sono tutti morti.»
Scuoto la testa. «Non dobbiamo perdere la speranza, ma confidare nel Signore.»
«Come volete.» Si sfrega i palmi e riprende il lavoro.
Mi asciugo il sudore della fronte con la manica della tonaca. Tutt’intorno, le persone affaccendate a ripulire le macerie svolgono la loro mansione con azioni meccaniche, senza parlare. Stringo le labbra: non sarà facile essere il pastore di questa povera gente.
Un volontario fruga le macerie con più foga degli altri: le sue braccia si muovono con ansia febbrile, senza sosta.
Lo indico. «Chi è quello?»
Fulin raddrizza la schiena. «Un inglese. Meglio stargli alla larga: dicono certe cose, su di lui.» Stringe le labbra e si pinza il lobo dell’orecchio con pollice e indice. «Che è dell’altra sponda, se capite cosa voglio dire.»
Un brivido mi corre lungo la spina dorsale. «Gesù è morto per gli ultimi, per i peccatori. Dobbiamo accogliere tutti e non giudicare.»
Fulin fa spallucce. «Come volete.»
Vorrei sprofondare, mi piego a raccogliere altri calcinacci.
Una donna urla. Fulin si mette a correre. Lo seguo col cuore che mi prende a calci il petto. La donna è in ginocchio, dirige verso di noi il suo viso rugoso e si fa il segno della croce.
La testa del morto spunta dal mucchio di calcinacci imbrattati di cremisi. La mascella strappata giace appoggiata alla gola, il naso schiacciato è ridotto a un bozzo sanguinolento, un occhio è schizzato fuori e penzola a lato trattenuto solo da un filamento lattiginoso. La carne è gonfia, giallastra.
Qualcosa di acido mi risale l’esofago, mi allontano e respiro a fondo per non vomitare.
L’inglese si avvicina trascinando i piedi, tutti si scansano per lasciarlo passare. Con le mani imbiancate, ripulisce le ultime macerie e libera il corpo. Rimane a fissarlo a lungo, in silenzio, poi lo copre con un lenzuolo.
Mi avvicino, allargo le braccia e invito gli altri a raccoglierci in preghiera. I soccorritori formano un cerchio e intonano un Padre Nostro; l’inglese, invece, rimane in disparte. Appena si accorge che lo sto fissando, risponde al mio sguardo con occhi languidi. Le sue labbra molli hanno un sussulto.
Signore, perdona la mia voglia di stringerlo tra le braccia.
 
Busso e attendo. La porta si apre e l’inglese compare sulla soglia, mi riconosce e mi fa cenno di entrare. «Coffee?»
«Va bene, ma mi trattengo poco, voglio solo sapere come stai.» Mi mordo il labbro: non devo balbettare. «E-eri molto scosso questa mattina. D-dopo il ritrovamento. Come se conoscessi quell’uomo.» Mi carezzo la nuca. «Eravate a-amici?» Magari amanti? Signore, perdonami.
L’inglese non risponde, si allontana e sparisce in una stanza da cui proviene una nuvoletta di vapore. Riprendo fiato e lo seguo. L’appartamento è più squallido di quanto pensassi: la sporcizia copre i pavimenti, rimasugli di cibo sono abbandonati a ridosso del muro. Faccio qualche passo e cerco di non infilare le scarpe nella sozzura. Pover’uomo, ha bisogno di aiuto, si capisce dalla scarsa cura che ha per la sua casa.
Alla mia sinistra si apre una stanza ben illuminata, ci sono dei quadri appesi alle pareti e un cavalletto che regge una tela macchiata da pochi tratti di pennello. I colori hanno tinte morte, dal verde al bluastro.
Stringo i denti, lo stomaco si contorce. Sulle tele sono dipinti visi deformati, con mascelle slogate e nasi sfondati, ritratti osceni che mi fissano con occhi lattiginosi che penzolano dalle orbite vuote.
Respiro, mi viene da vomitare.
Ora è tutto chiaro. Ecco perché è così attivo, tra i soccorritori. Cerca cadaveri per assorbire la loro immagine e dipingerli, come un diavolo che si nutre della corruzione della carne. E io che pensavo addirittura di poter… perdonami, Signore.
Un grugnito alle mie spalle mi fa voltare di scatto. Il viso dell’inglese spunta dalle volute di vapore di una tazza di caffè. Alza la mano per porgermi la bevanda bollente, poi sorride e la muove in un arco a indicare lo studio. «Mia passione, mia arte, mio lavoro.» Il vapore serpeggia verso i dipinti orrendi.
Devo andarmene. Lo supero con un brivido e percorro a ritroso il lurido corridoio. Il mio piede si infila in una scodella di minestra ammuffita, mi fermo con la scarpa a mezz’aria. Che schifo.
Il pavimento alle mie spalle scricchiola. Smetto di respirare e mi volto lentamente. Lui mi sorride con lo sguardo furbo di un chierichetto scoperto a rubare le offerte della messa.
Mi faccio il segno della croce. «Rifletti sulle tue azioni, pensa alla tua anima.»
Si mette a ridere. «Ah, soul?» Mi getta il caffè addosso. «Asshole!»