Tic – tac

Certi cuori meccanici possono battere con più intensità di un cuore al servizio della ragione. Secondo classificato nella Steampunk Edition, un racconto di Alexia Bianchini.

 
Un dolore acuto al petto mi colpisce come una frustata.
Il rintocco del mio cuore ha perso un battito.
Percepisco l’odore della Morte sopraggiungere e ne ho piena consapevolezza. Ma non è così terribile, in fondo. È stata una mia scelta.
Seduta sulla poltrona del Dottor Morrison osservo il suo corpo steso a terra, ormai privo di vita. È stato il mio salvatore, il mio amante, il mio padrone e infine il mio carnefice.
Ucciderlo era l’unico modo che avevo per spezzare quel legame che aveva creato ridandomi la vita.
Dieci anni fa ero morta. Un fulmine mi aveva colpito fermando il mio cuore.
Lui lo aveva sostituito con un marchingegno di rame di altissima precisione. Come le lancette di un orologio aveva ripreso a battere, facendomi tornare fra i vivi.
Lo avevo amato per questo. Non ero una semplice ragazzina, ero una mente eccelsa, capace di confrontarsi con i migliori scienziati del secolo.
Le mie ricerche erano all’avanguardia. La mia passione erano i motori, le macchine volanti.
Stavo assistendo al primo lancio di un mio macchinario quando il fulmine era arrivato pochi istanti prima di avviare il motore.
Ricordo solo di essermi svegliata in un ospedale. Morrison era accanto a me. Due occhi celesti mi fissavano rapiti. Era euforico, il suo “esperimento” era riuscito.
Ma non mi sentii così all’inizio. Mi riempiva di attenzioni, faceva tutto ciò che gli chiedevo.
Mi innamorai del suo sguardo, delle sue mani forti. Non mi interessava la differenza di età, né l’opinione di mia madre, ancora illusa di aver procreato una fanciulla come le altre.
Accettai ogni test a cui venivo sottoposta. Mi trasferii da lui, nella sua grande villa in Abany Street, sebbene non fossimo sposati.
Ma più i giorni passavano e più leggevo negli occhi della servitù pena e ribrezzo, ma Morrison sedava ogni mia preoccupazione con baci e carezze, dandomi scherzosamente della pazza… e pazza ci divenni poco a poco, notando gli sguardi d’intesa con alcune civettuole di passaggio. Erano “amiche di sua madre”, così diceva, ma a me sembravano solo zitelle in cerca di marito.
«La tua mente amore mio è la cosa più bella che io abbia mai visto… quelle donne sono solo stupidi involucri vuoti!» mi disse una sera.
Gli credetti, ma osai rifiutarmi di fare un esame e notai un certo atteggiamento di diniego. Sollevò il sopracciglio e guardandomi fissa negli occhi mi disse: «Ma tu devi… è per la scienza».
«Ma l’ultima volta mi ha fatto male» gli avevo fatto notare. Come sempre aveva ribadito che solo grazie a quell’arnese nel mio petto, che solo lui sapeva far funzionare, ero ancora in vita.
Mi aveva imprigionata in una ragnatela. Ero come una bambola nelle sue mani.
Quando lo trovai che fornicava con Miss Adelaide, la mia cameriera personale, Morrison mi guardò torvo, nemmeno una parola per scusarsi.
Sparai all’uomo che amavo con la mia Mortimer, unico regalo di mio padre, e poi mi accomodai sulla poltrona, mentre Adelaide scappava urlando.
Tic, tac, tic, tac… ancora qualche rintocco, e poi il silenzio.

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