Tre donne

Una folata di vento gelido mi fa tremare. Contraggo i muscoli schiacciandomi contro la parete di pietra. Il freddo della roccia trapassa il sottile tessuto del guanto. Ci siamo quasi. Tendo i nervi delle dita e mi tiro su. Lascio la corda e mi aggrappo a una nuova sporgenza.
Alzo la testa, la vista è occlusa dalla visiera del casco, ma riesco a percepire la fine della scalata. Manca mezzo metro alla vetta. Ruoto il busto leggermente. La vista dalla cima delle dolomiti è sempre mozzafiato. Devo scaricare un po’ rabbia e liberare la mente. Domani c’è il torneo più importante dell’anno e dovrò stare seduto e concentrato per molte ore.
“E così valgo tre donne?” la voce di mia moglie, un metro sotto di me, mi stordisce.
Non ha detto mezza parola per tutta la scalata e adesso se ne esce con QUESTO?
“Come scusa? Quali tre donne?” chiedo con voce strozzata.
“Nove anni fa. Tu e Roberto. A Villa Pliniana.”
Mi sento mancare. Mi aggrappo con tutte le forze alla corda, alla roccia, al vento, a tutto ciò che c’è in questo mondo. Lei lo sa. Lei lo sa!
“E tu come fai a saperlo?”
“Che importa? Quel che conta è che lo so. E che tu sai che io so.”
Ride. Quella risata fresca che mi aveva fatto innamorare. Dimenticare la depressione, la nevrosi.
Ecco com’era quella risata. Quella risata che ormai non sento più.
“E allora maritino? Valgo o no tre donne?”
Questo cambia tutto. Se sa del patto che abbiamo fatto a Villa Pliniana io e Roberto è tutto finito.
“Laura. Perché non me lo hai mai detto in tutto questo tempo?”
Ride ancora. Non è più la risata fresca. No, è quella sottile, malefica. Quella degli ultimi tre anni.
“Purtroppo non lo sapevo. Altrimenti avrei scelto lui.”
Dolore. Dolore puro, come una lama che mi trapassa da parte a parte. Fredda come la roccia su cui ci siamo inerpicati. Tagliente come il vento dell’est.
La mia mente torna a tre mesi prima: rivedo la chiesa mezza vuota, la scatola di legno di ciliegio con all’interno le ceneri di Roberto, le parole senza senso del prete, Zia Lidia che piange sommessamente. Gli occhiali neri. I silenzi. Gli scatti nervosi. Il dubbio che mi rodeva.
Avresti scelto lui. Se non fosse stato per quel giorno a Villa Pliniana. Avresti scelto lui. In fondo l’ho sempre saputo.
 
Deglutisco. “Ti ha scritto prima di farlo, vero?”
I singhiozzi giungono fino a me. Non ride più. Nella sua voce c’è disperazione.
“Sì! Una lettera bellissima. Piena di amore. Amavo Roberto fin dalle superiori. Se non si fosse inspiegabilmente allontanato da noi… Sì, avrei sposato sicuramente lui. Ne sono certa.”
Lo shock lascia spazio alla rabbia. Infilo il moschettone nell’ultimo piolo e con uno slancio mi aggrappo alla cima. Mi tiro in piedi. Sono il re del mondo, ma mi sento solo. Sconfitto.
E io idiota che dovevo liberare la mente. Come farò domani al torneo? Come farò? Cazzo, in una situazione così penso ad una stupida partita? Sono proprio scemo.
“Non so cosa dire” ammetto alla fine, conscio che qualsiasi cosa mi possa inventare sembrerebbe inutile.
“Non serve dire nulla” risponde Laura che è salita sull’ultima sporgenza. “Solo che adesso è il momento di affrontare il presente e di lasciarci il passato alle spalle.”
Lara è forte, sa cosa vuole e io la amo per questo. Allungo la mano ora meno intorpidita. L’afferra, la stringe, come una morsa. La sollevo sulla cima. Si alza e si stira. Ora siamo i sovrani del mondo. Ora siamo i sovrani del nulla.
Mi fissa. I suoi occhi intensi mi trapassano e mi scavano dentro.
Il passato è il passato, già, e adesso? Cosa farà? Chiederà il divorzio?
Distoglie lo sguardo, fa due passi attorno a me, in cima al cocuzzolo. Tira un gran respiro. Il vento mi sferza i capelli e ci abbracciamo, stringendoci automaticamente senza neanche pensarci. Un gesto semplice e naturale figlio di anni di matrimonio.
“Domani andrai al torneo?”
Ci penso. Abbiamo litigato per due mesi di fila per questa storia. Ci ho messo anni a perdere il vizio e ci sto ricascando.
Solo qualche partita amore. Ancora una amore. Un’altra ancora e poi basta. Ci sono ricaduto. Devo ammetterlo. La cosa mi è sfuggita di mano: torno alle tre di notte e spesso perdo un sacco di soldi.
“No, non ci andrò…”
Mi sento leggero.
“Davvero?”
Lara si allunga verso di me. Mi bacia. Nonostante il vento il suo profumo di vaniglia mi riempie le narici. Dio, è molto che non lo facciamo.
Mi stacco da lei con riluttanza. I suoi occhi luminosi splendono più del sole.
“Non andrò a quel torneo” ripeto. “La mano migliore l’ho avuta a Villa Pliniana nove anni fa, quando ho giocato per la tua mano. Roberto aveva solo una banale coppia di fanti!”
“E tu un tris di donne.”
Sorride.