Distrazioni

Finalista nella Livio Gambarini Edition, 146° All Time, un racconto di Davide Di Tullio.

 
Ore 01:00
 
Il puzzo di carne marcia mi scuote le budella. Il capo reparto siede su uno sgabello e stringe tra le labbra una sigaretta spenta. «Avete tre ore per ripulire questo schifo». Si alza, tira fuori uno zippo e se l’accende. «Lì c’è lo sgabuzzino con gli scopettoni e i detergenti.» Fa un cenno con la testa e spara fuori il fumo dalle narici. «Tirate a lucido il macello, e avrete i vostri soldi.» Si infila un mignolo nell’orecchio e lo scuote.
 
Ore 02:00
 
Alla luce bianca dei neon, Il pavimento del mattatoio sembra quello di una gigantesca sala operatoria. Spingo lo scopone umido sulla ceramica. Pezzi d’osso e frattaglie si impigliano nel mocio. Scuoto la scopa e goccioline di sangue rancido grondano sulle mattonelle. Poggio il manico su una spalla e alzo la maglia fino alle ascelle. Ci saranno almeno quaranta gradi in questo inferno.
«Chi ti ha detto di fermarti?» Il capo fa cenno con la mano di continuare.
Sbuffo. «Si può accendere il condizionatore?»
Quello scuote la testa. «Ci sono già le finestre aperte.» Sbadiglia e si rimette a sedere.
Eccolo il capo reparto, un cazzo di secondino.
 
Ore 03:00
 
Mi specchio nell’acciaio. Tre passate e ci sono ancora aloni. Cristo, questo schifo non viene via nemmeno con la candeggina. Carlos ansima. È chino sul nastro trasportatore e spinge avanti indietro un braccio secco e livido. Olio di gomito.
«Vacci piano, ragazzo.»
«Questo lavoro mi serve» dice, senza fermarsi. «Finiamo questa merda, e ce ne andiamo.» Si poggia sul nastro e si passa le dita tra i capelli sudati.
«Aspetta un attimo.» Faccio un fischio.
Il capo reparto tira giù i piedi dallo sgabello e allunga il collo. «Allora?»
«Si può avere dell’acqua?»
«Col cazzo!» Sghignazza e si rimette comodo. «Finite il lavoro e se ne riparla»
 
Ore 03:30
 
Carlos fissa il monitor. Si volta e sbarra gli occhi. «Abbiamo solo mezz’ora e dobbiamo ancora pulire la macina!»
«Tranquillo, apri il portellone.» Avvicino il bidone dell’idropulitrice e allungo il filo alla presa.
Carlos pigia il il tasto e attiva la macina; afferra la maniglia e tira con forza lo sportello. Un odore nauseabondo si sprigiona nell’aria. Il ragazzo si copre il naso con una mano. «Merda!»
Ruoto la manopola dell’accensione. L’acqua nella cisterna gorgoglia, spingo il tasto della pulitrice e schizzo sulle lame incrostate della macina.
Una sottile nebbiolina si solleva e ci avvolge. Carlos barcolla e si accascia al pavimento.
«Carlos!» Poso il manicotto al pavimento, e mi chino su di lui. È pallido e tossisce. Il cloro nella cisterna! «Capo!»
Il capo reparto si stiracchia. «Che cazzo c’è ora?»
«Carlos si è sentito male! Venga a vedere.»
L’uomo sbuffa e caracolla alla macchina. «Sta benone. Alzati coglione!»
«Non lo vede come sta? Dovremmo avere le mascherine per questo lavoro!»
«E invece non avrete un accidenti. Lamentati ancora e non vedrai un euro! A lavoro!»
Fottuto secondino. «La macchina non funziona.»
«Cosa dici, mentecatto!» Il capo afferra il manicotto e si piazza davanti a me. Spinge il grilletto e attiva il getto. Solleva il dito e si volta. «Visto, idiota?»
Gli strappo il manicotto dalle mani e gli rifilo un calcio nella pancia; cade di faccia tra le lame della macina e si spappola come uno cazzo di budino. Cristo, non avevo mai sentito il rumore di ossa macinate.
Mi volto verso Carlos. Il ragazzo è seduto con la schiena poggiata sul nastro. Mi fissa e sorride.
«Lo hai spedito all’inferno!» mi dice, con un filo voce.
«Chiama la sicurezza, il capo si è distratto e ha avuto un brutto incidente.»