Radici in ombra

Appena metto piede nel bar, una baraonda di grida e applausi mi travolge.
«Ed eccolo, il nostro Lucio!»
Alzo lo sguardo verso Paolo. Se potessi, lo fulminerei con lo sguardo.
«Allora, ho sentito che hai di nuovo perso la tua tana, eh?» ridendo, prende un sorso dal suo boccale di birra.
«Sì sì», mi metto a sedere. Gli altri clienti mi seguono con lo sguardo. «Eppure anche tu sei qui, Paolo.»
Scende il silenzio.
Paolo stringe il manico del boccale. Spero si spezzi e che un pezzo di vetro gli si conficchi nella pelle e che si debba amputare una mano, com’è successo a me.
Con la destra, chiedo un boccale di birra.
«Ma, Lucio!»
Mi giro: è Andrea, uno dei nuovi arrivati. «Cosa ti è successo? E quel bel posticino che avevi trovato?»
Sospiro. Prendo un sorso dal boccale appena arrivato. «È una brutta storia. Se volete ve la racconto.»
Paolo ridacchia, ma il resto del bar vuole ascoltare.
 
«Come vi avevo accennato, avevo trovato questo posticino davvero carino in cui vivere. Vista sul fiume, un gorgoglio continuo che era una cosa stupenda per conciliare il sonno. Nessun lampione a dare fastidio, nessun vicino fastidioso che potesse svegliare durante la notte. Credetemi: era quasi perfetto, a parte per le zanzare. Ma davvero, era una di quelle occasioni che neanche credi ti possano capitare nella vita.»
Ma guardalo, Paolo segue la storia con occhi spalancati. Geloso, eh? Gongolo un po’ prima di continuare.
«Le cose sono andate bene per qualche settimana. Solita routine: la mia preda andava a dormire e io mi mettevo all’opera», dannazione, sento gli occhi lucidi. Non posso mica piangere ora. «Lavoravo veramente bene, lì.»
«Posso ben immaginare!» grida una voce dalla folla. «Nessun lampione! Nessuna luce!»
Annuisco. «Eppure, un giorno è arrivato quel dannato lumino.»
I presenti sussultano. Paolo si avvicina un poco.
Alzo le spalle: «E cosa ci potevo fare? Come tutti sanno, appena arriva il lumino, tutto diventa più difficile. Ma non mi sono arreso e mi sono dato da fare.»
Momento di pausa per dare un poco di suspense.
Tutto il bar pende dalle mie labbra: un piccolo sfizio che volevo togliermi.
«Ma niente. Alla ho dovuto compiere una…» cerco le parole migliori. «Ritirata strategica.»
Paolo ridacchia sotto i baffi. Dannazione se non gli darei un pugno. La mia mano sinistra si chiude su sé stessa, nonostante sia solo una sensazione fantasma.
«E ora sei qui», dice lui. «Ma te la sei cavata bene, dai. Cosa farai ora?»
Sbuffo. «Voglio mettere le mie radici da qualche parte. Non ho molte pretese, a essere sinceri. Voglio solo trovare un letto sotto cui stare e fare una vita tranquilla. Troverò un altro posto, ma questa volta farò di tutto per non perderlo.»
Finisco il mio boccale. Paolo mi dà una pacca sulla spalla: «Mio caro amico. Posso darti un consiglio?»
Mio caro, non vorrei neanche ricevere una nuova tana perfetta da te, non dopo quella volta che mi hai lasciato a combattere da solo contro quell’orsacchiotto maledetto che mi ha tagliato una mano.
Ma non faccio in tempo a rispondere che lui continua: «Hai mai provato un armadio? Stare sotto il letto è ormai superato.»
Alzo le mani: «Per carità, no! Sono vecchio stile.»
«Ma non so ancora per quanto tempo potrà funzionare, Lucio.»
«Tranquillo, Paolo. Me la caverò.»
 
Eccomi arrivato nella mia nuova dimora.
Il letto è parecchio alto e ho molto spazio in cui muovermi. La moquette è decisamente un gradito extra. Mi dedico qualche secondo per godermi la sensazione di morbidezza sulla mia pellaccia.
La mia nuova casa è in una vecchia strada di campagna che si conclude in un vicolo cieco.
Non ci sono lampioni né lumini. È il posto perfetto.
Eccolo! Il bambino si è messo a letto e il materasso sprofonda un poco. Deve essere molto leggero: non mi sfiora nemmeno.
Allungo il braccio e graffio un poco il legno degli assi. Non ricevo alcuna reazione.
Preda difficile, eh?
Faccio salire il braccio su per la sponda del letto.
Tocco qualcosa e scatta un urlo. Soddisfatto, ritiro la mano e mi nascondo nell’ombra. I passetti veloci del bambino corrono via e attraversano il corridoio. Una risata sboccia dalla mia bocca, ma mi costringo a fermarmi per ascoltare.
La vocina del bambino è inconfondibile.
«Papà, papà! C’è un mostro sotto il mio letto!»