Ultima corsa

Finalista nella Livio Gambarini Edition, 146° All Time della storia di Minuti Contati, un racconto di Filippo Santaniello.

 
Una volta guadagnavo bene anche di notte, ma adesso che con le nuove restrizioni nessuno si sposta più, è veramente dura andare avanti.
Per questo, quando la vedo avvicinarsi al taxi, le apro subito lo sportello senza darle il tempo di scegliere se salire sul mio o su quello di Ernesto che mi manda a cagare con la sigaretta tra le labbra.
C’ha ragione.
Gli brucio tutti i clienti.
Ma Ernesto ormai è anziano.
Non è più il rapace di una volta.
E poi una corsa è oro. È l’ultima della serata e io ho una famiglia da mandare avanti.
 
*
 
«Vai all’Inferno» dice la ragazza non appena chiude lo sportello.
«Prima di mandarmi al diavolo che ne dici di sapere quanto costa la corsa?»
«Che hai capito?» mi fa mentre metto in moto. «L’Inferno sta a Garbatella, è una discoteca. Non la conosci?»
«Mai sentita. È nuova?»
«Macché, è storica. Ci vanno tutti.»
Una volta forse, penso. Prima di ‘sta pandemia dimmerda
 
*
 
Durante il tragitto metto un po’ di musica.
«Non hai qualcosa di più recente?» mi fulmina lei.
«Più recente dell’ultimo di Guè Pequeno?»
«Chi?»
Strana tipa. Da dove è uscita? E quant’è fuori moda quel foulard di seta rossa che ha al collo?
Chiudo Spotify e metto la radio.
«Perfetta questa!» si esalta.
«Blue Monday dei New Order ti sembra recente?»
Mi guarda come se volesse strangolarmi. Non aggiungo altro.
 
*
 

Guido fino a Garbatella dove chiedo aiuto al navigatore che mi è del tutto inutile.
L’Inferno non è sulle mappe.
Per fortuna lei sa la strada.
Mi fa prendere una viuzza e la percorro fino a un piazzale adibito a parcheggio.
Ci saranno una cinquantina di macchine. Davanti a noi, circondato da uno scuro boschetto, un edificio a tre piani dalle finestre illuminate. Da dentro proviene musica anni 80. Davanti all’ingresso c’è fila fino al parcheggio.
Alla faccia delle restrizioni anti-Covid. Se viene la polizia succede il finimondo, ma non sarò certo io a chiamarla.
Resti tra noi, ma il fatto che ci sia gente che se ne sbatte dei decreti, mi provoca un sottile e sadico piacere.
 
*
 

Apro gli occhi quando sento bussare sul finestrino.
Non sarà mica un poliziotto?
Vaglielo a spiegare che ho accompagnato una cliente che mi ha chiesto di attenderla fino alle due in cambio del doppio del costo della corsa.
Per fortuna è solo un vecchio col cane al guinzaglio.
Abbasso il finestrino.
«Tutto bene?» mi fa. «Non è un bel posto dove fermarsi a riposare.»
Gli dico che sono un tassista. Sto aspettando che la cliente esca dall’Inferno.
Il vecchio tace, sorride.
«Qual è il problema?» chiedo.
«Nessuno. Solo mi sa che dovrai aspettare parecchio.»
«Perché? Ha detto massimo alle due, mancano dieci minuti. Dovrebbe uscire a mom…» Mi muoiono le parole di bocca nel momento in cui rivolgo lo sguardo al locale.
Non c’è nessun locale.
O meglio. La struttura è al suo posto, ma è fatiscente. Il parcheggio è vuoto.
«Fanno tutti la stessa faccia.» Lancio un grido di paura quando sento la voce dell’uomo alla mia destra. È seduto accanto a me.
Il cane che ha in braccio gli lecca le dita scheletriche. Sento un cattivo odore. Non capisco se è l’alito dell’uomo o quello del cane.
«Povera Teresa Vinci» fa con un tenero sospiro. «Nell’83 fu una delle ultime a uscire dall’Inferno. Era così ubriaca che non si accorse di nulla. L’assassino la strangolò col suo foulard e la trascinò nel boschetto dietro il locale dove fece il resto. Col resto intendo tutto. Proprio tutto. Non è mai stato trovato, ormai dovrebbe avere…» guarda lo spicchio di luna fuori dal finestrino. Quando torna a guardarmi sorride piegando così tanto gli angoli della bocca che diventano aguzzi come quelli della luna. «Ottantatré anni» dice. «Torna spesso dove ha ucciso la ragazza e anche lei è destinata a tornarci di continuo. È stato un piacere conoscerla, signor?»
«Giulio…»
Chissà perché gli dico pure il cognome. «Giulio Moricone.»
«Come il musicista?»
«Sì, ma con una R sola.»
Apre lo sportello e se ne va.
 
*
 
Dopo qualche minuto di stordimento, accendo l’auto e faccio inversione sul parcheggio deserto, quando due fari mi abbagliano nella notte.
È Aquila 14. Il taxi di Ernesto.
Lo saluto con la mano. Lui contraccambia.
Ha un passeggero a bordo.
Una ragazza con un foulard di seta rossa.